Catarsini artista libero.
Gli interrogativi sull’uomo e il suo Simbolismo meccanico
(1948 ca. – fine anni ’80)
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Elena Martinelli

Nel 1982, nell’intervista Video Rai 1 di Romano Battaglia, Omaggio a Catarsini, Alfredo Catarsini aveva 83 anni, ripreso in bicicletta per le darsene di Viareggio, parla dei luoghi che lo hanno ispirato fin da giovane e spiega il suo Simbolismo meccanico con queste parole: “Io oggi ho una pittura ben diversa, la mia pittura oggi esalta o perlomeno cerca di interpretare la società in cui viviamo. Siamo tutti degli alienati. La mia tematica non è più quella delle darsene; la mia tematica è il simbolo della civiltà nostra.”

Catarsini ha attraversato un secolo, il Novecento. Il secolo delle grandi trasformazioni, delle grandi guerre, di invenzioni e scoperte e anche delle avanguardie artistiche e letterarie; i primi venti del Novecento sono anni di grande fermento nel mondo dell’arte e della letteratura. Vengono messe in discussione le certezze dell’Ottocento con movimenti intellettuali e culturali innovativi, le cosiddette prime avanguardie o avanguardie storiche: Art Nouveau, Fauvismo, Espressionismo, Dadaismo, Cubismo, Futurismo, Astrattismo, Surrealismo. A seguire le neoavanguardie tra gli anni Cinquanta e Sessanta e, dalla fine del secolo scorso, le terze avanguardie.
È del 1886 il manifesto del movimento Simbolista, confluito poi nel Decadentismo. Nato in Francia, si afferma soprattutto nella poesia. Il simbolo non viene associato ad un significato immediatamente comprensibile e poeti come Rimbaud, Valery, Mallarmé e Baudelaire riescono a coglierlo e a trasferirlo nelle loro opere, fino ad influenzare molti altri poeti successivi più recenti tra cui i poeti decadenti italiani ma anche Giuseppe Ungaretti, amico di Catarsini e altri esponenti dell’Ermetismo. La tendenza è di non rappresentare fedelmente il mondo esteriore ma di creare piuttosto il mondo della suggestione fantastica dei sogni per mezzo di allusioni simboliche. Il poeta e l’artista puntano a comunicare idee, stati d’animo, convinzioni filosofiche e religiose attraverso un linguaggio allusivo ed evocativo.
Catarsini, dopo poco più di mezzo secolo decide di usare il termine Simbolismo per definire la sua ultima produzione pittorica, che vede come soggetto principale gli ingranaggi meccanici.
Doveva alla causalità l’incontro con Modigliani a Parigi nel 1914, che confermò la sua attitudine  al disegno, ma Catarsini si è poi formato con dedizione grazie all’amore per lo studio e per l’arte – … per me l’arte è stata soprattutto gioia e conforto, vera affascinante amica… – ma anche grazie al luogo dove è nato e vissuto, come rileva Vittorio Sgarbi “Se c’è un artista che ha provato a guardare oltre le mura del proprio municipio, cercando altrove gli stimoli da portare e sviluppare a casa, questi è proprio Catarsini. Godendo peraltro della congiuntura favorevole per cui l’altrove gli arrivava direttamente a casa senza avere bisogno di andarlo a cercare, grazie alla presenza a Viareggio di artisti e intellettuali provenienti da tutta Italia…” 
Catarsini non ha fatto parte di gruppi e correnti artistiche; pur avendoli conosciuti e frequentati a cominciare dall’adesione al secondo futurismo di Filippo Tommaso Marinetti, alla partecipazione alle mostre al Kursaal degli anni ’30 a Viareggio e alle frequentazioni con gli artisti nazionali e internazionali del Quarto Platano di Forte dei Marmi e con i protagonisti delle tre edizioni del Premio Cremona, delle Biennali di Venezia e Quadriennali di Roma.
È stato detto che questo lo ha senz’altro penalizzato. Può darsi, ma come avrebbe potuto abbracciare un solo credo un artista assolutamente libero che, come ha scritto di lui Tommaso Paloscia: “(…) guardò il mondo senza subirlo, che conobbe le scuole senza imitarle, che rapportò sempre la realtà al suo equilibrio e al suo gusto di interprete libero dell’universo.

Sono solo e sono tutto mio, soleva dire compiaciuto quando veniva rispettata la sua esigenza di solitudine. Così come la frase all’ingresso del suo atelier, Chi entra mi onora, chi non entra mi fa un piacere rispecchia l’esigenza di impiegare il suo tempo soltanto con chi era veramente interessato a conoscerlo, a conoscere il suo lavoro, a parlare di arte, a scambiare opinioni e condividere argomenti, essendo aperto al confronto e curioso di tutto quello che succedeva in Italia e nel mondo. 
Ma ogni novità richiedeva un periodo di decantazione. Per ogni nuova scoperta si prendeva tempo per metabolizzarla, per poi ripartire, arricchito, sulla sua strada.

È stato un intellettuale e un artista attento ai mutamenti, sempre aggiornato e interprete del suo tempo. L’uomo e l’universo femminile, il lavoro, i sentimenti, i luoghi dove è nato e vissuto, i paesaggi, la contemporaneità sono i suoi motivi di ispirazione, declinati in modo differente in 70 anni di attività. Nella sua lunga vita è passato dai lumi a petrolio allo sbarco dell’uomo sulla luna, dal lavoro manuale nei campi e nei cantieri navali, alla meccanizzazione. Ha dipinto le darsene laboriose dal 1917 alla fine della sua vita, differenti certamente, perché differente era la realtà.
Ha esaltato l’ingegno umano per le scoperte e le invenzioni ma ha sempre avuto un atteggiamento di grande attenzione e prudenza nei confronti di certi radicali e irreversibili cambiamenti in particolare riguardo alla tecnologia moderna, un fenomeno globale che è entrato nella nostra vita con prepotenza e con ambiguità senza chiedere il permesso e senza “istruzioni per l’uso”.  
Per il benessere che ne deriva c’è un prezzo da pagare e di questo Catarsini si è reso conto molto presto.
Il mondo si trasforma in un completo dominio della tecnica. Di gran lunga più inquietante è che l’uomo non è affatto preparato a questo radicale mutamento del mondo, scriveva il filosofo Martin Heidegger in La questione della tecnica sulla tecnologia del Novecento. Egli riconosce il ruolo che la tecnologia gioca nel migliorare le condizioni dell’uomo ma anche nel plasmare il modo di stare al mondo.
Catarsini si è interrogato molto sul rapporto tra i prodotti della tecnologia e l’uomo e sull’inevitabile dipendenza dalla tecnologia e si è espresso con una frase breve, attualissima, che suona come una denuncia, un campanello d’allarme: l’uomo non riesce a dominare la sua creatura.
Questa situazione è esplicitata con le opere del suo Simbolismo meccanico, ingranaggi meccanici sospesi, senza tempo e senza spazio, fantasiosi e affascinanti nel primo periodo per poi perdere man mano l’allure di magia e ridursi a mera descrizione di forme, più inquietanti e cupe, asciutte. Qui agli ingranaggi aggiunge figure, quasi sempre una sola figura di uomo, ma preferibilmente di donna. 
Egli esorta a prendere coscienza che in questo alberga l’incomunicabilità e l’isolamento che ne consegue: uomini e donne, soli, non disperati ma con sguardi attoniti e increduli di chi non riesce a capacitarsi di cosa sia successo per essere finiti in mezzo ad un sistema che li rende schiavi, li limita e mortifica. Questa situazione, che oggi è la nostra realtà, in effetti non rispetta le necessità fisiologiche, psicologiche, affettive dell’uomo, men che meno della donna, né quelle della natura. 
E allora che fare? Quale il nesso tra sviluppo e progresso? Catarsini se lo chiede in tempi “non sospetti”, quando ancora non si parlava della plastica, dell’inquinamento atmosferico e marino, dei rifiuti e non conosceva l’informatica. 
Pier Paolo Pasolini negli anni Settanta in Sviluppo e Progresso crede nel progresso non nello sviluppo e, attaccando il modello di vita consumistico in Italia, lo paragona ad un “genocidio culturale”, con conseguenze sociali, infrastrutturali, culturali e antropologiche. E anch’egli paragona la tradizione contadina alla società italiana trasformata a causa di uno sviluppo dettato dall’industrializzazione e dalla logica di mercato cui seguono linee guida che omologano i valori. Lo sviluppo non è più un mezzo per far progredire la società e per raggiungere un reale benessere, è un processo fine a se stesso con conseguente regressione morale, sociale e dell’ambiente. 
Catarsini lo aveva avvertito già nell’immediato dopo guerra quando aveva abbandonato le vedute della campagna, delle Alpi Apuane, del lavoro dei contadini e dei maestri d’ascia e calafati nelle darsene viareggine. Di fatto si allontana spiritualmente da quel mondo, anche se lo ritrae evidenziandone i cambiamenti, e si rifugia nelle figure fantastiche e nelle forme libere di ricerca formale che, dal Riflessismo degli anni ’40, definiscono la tavolozza del nascente Simbolismo meccanico.
Intanto la consapevolezza aumenta, le conseguenze della tecnica possono essere a loro volta controllate solo con i mezzi tecnici, a loro volta cardini dell’agire tecnico che è divenuto semplice imposizione. Un’immagine circolare. È l’epoca della civiltà tecnica in cui tutto è interconnesso, sottomesso al volere tecnico (Heidegger in La questione della tecnica). L’uomo costruisce una sorta di “seconda natura” fabbricando prodotti che non sono dei meri prodotti culturali ma processi e parti della natura che non esistevano prima che l’uomo li creasse. E se l’uomo in origine si rapportava alla natura con l’intento di curarsene, in una sorta di accudimento, con la tecnica moderna le cose cambiano: la natura è ora posta al servizio dell’uomo e dei suoi bisogni. 
Il mondo come macchina è la condizione verso cui stiamo andando dove è in atto un’inversione della struttura di dominio che dall’uomo è passata alle cose. A questo processo di soggettivazione delle cose l’uomo perde il suo ruolo centrale di produttore (homo faber) per assumere le vesti di un consumatore indotto, privo di autonomia e di capacità di giudizio (Günther Anders, in L’uomo è antiquato).
In L’alienazione dell’uomo nell’era atomica e il senso del suo mistero Heidegger sostiene che l’uomo di questa epoca potrebbe trovarsi, sgomento e inerme, in balia dell’inarrestabile strapotere della tecnica, e che ciò accadrà senz’altro se l’uomo di oggi rinuncia a gettare in campo, in questo gioco decisivo, il pensiero meditante contro il pensiero puramente calcolante. Ma l’uomo, che è capace di autoriflessione, che è il pastore dell’essere, deve recuperare la sua essenza, che è nella sua e-sistenza e ritornare al senso che la parola umanesimo esige e che determina la vera humanitas.
L’uomo, appunto, e Catarsini non si discosta da lì, la sua denuncia riguarda l’uomo, l’unico artefice di se stesso.
E la donna? È il soggetto privilegiato del periodo in cui Catarsini inserisce figure umane all’interno nel vortice delle ruote e degli ingranaggi meccanici, come rappresenta Donna al lavoro, del 1959, in esposizione al Museo di Anagni, un’opera significativa, una sorta di Madonna in trono del XX secolo, riprodotta nel catalogo.  Per Catarsini è la donna che paga il prezzo più alto nella trasformazione della società e del lavoro. Il concetto della donna in Catarsini rispecchia senz’altro la tradizione ottocentesca ma al contempo egli è anticipatore dell’importanza del ruolo della donna nel mondo del lavoro e della cultura, una donna consapevole del suo essere che affianca il compagno e collabora nelle necessità della vita familiare e della società con pari dignità, ma è anche autonoma e autosufficiente come un uomo. Questa concezione è dovuta al suo rispetto per la persona, indipendentemente dal genere, e alla sua esperienza personale per merito di sua moglie che lo ha affiancato dimostrando quanto una donna possa ricoprire e bene tanti ruoli, essere madre e moglie, autorevole e amorevole e determinante nelle scelte della vita di coppia.  

Il Simbolismo meccanico è sia una denuncia che un avvertimento. Catarsini che non dà soluzioni per gli altri, le dà però per se stesso, sta poi al libero arbitrio di ognuno trovarne una propria: è necessaria una presa di coscienza e un farsi carico del problema per trovare in se stessi le risorse per arginare le conseguenze, per adattarsi in maniera positiva anche a questa nuova condizione che può rivelarsi negativa per l’essere umano. Non disperazione e non solo preoccupazione, ma azione, forte del fatto che nei millenni l’uomo è riuscito a superare ogni difficoltà. Questo significa riappropriarsi del sé, del rapporto con i propri simili e della propria libertà di decidere come vivere. Essere soli tra quegli ingranaggi, non porta a nulla.
Con l’isolamento dovuto alle nuove abitudini di vita e perfino con l’uso dell’automobile al posto dei mezzi pubblici, i rapporti interpersonali si interrompono e con essi il dialogo; la persona si concentra solo per fare o produrre qualcosa sia per necessità che per dimostrare così il suo valore, diventando ego-centrica e relazionandosi soltanto con chi soddisfa i suoi interessi. Con la supremazia della tecnica l’uomo si allontana da se stesso e dai suoi simili diventando incapace di gestire la propria esistenza e costruire una giusta relazione con gli altri enti e con altri uomini.
Inoltre se l’indiscriminato e incondizionato sfruttamento si accresce con la crescita degli apparati tecnici volti a ricavarne profitto, questo porta alla devastazione del pianeta. Un tempo coltivare la terra voleva dire accudire e curare, come ha ben descritto nell’opera di lavoro corale, Il grano della bonifica lucchese del 1940, dove la macchina è già presente, è la trebbiatrice che aiuta il lavoro dell’uomo, e ben inserita nella composizione con la sua mole. I protagonisti del dipinto però sono uomini, donne e anche una bambina e le spighe del grano. Un momento importante nella vita dei contadini dove la fatica del lavoro è ripagata dalla gioia del raccolto. L’opera del contadino non impoverisce la terra del campo e nel seminare il grano egli ha affidato le sementi alle forze di crescita della natura, poi veglia sul loro sviluppo e raccoglie i frutti, ha rispetto per il valore intrinseco della natura, è egli stesso in armonia con la natura. Nella prospettiva della tecnica moderna, invece, l’agricoltura è diventata industria meccanizzata dell’alimentazione. Sembrava che la tecnologia potesse fare e offrire tutto il meglio per la nostra vita. Oggi sappiamo che questo non è vero.
Credeva nel riscatto dell’uomo? Il problema si presta a diverse soluzioni, Catarsini pensa che ci sia sempre un riscatto, una volta presa coscienza di non essere in grado di gestire quello che abbiamo prodotto e le conseguenze che ne derivano. Lascia la porta aperta. Troppo devastante sarebbe stato per lui pensare in modo assoluto e negativo, troppo grande e radicata la considerazione che ha sempre avuto nell’ingegno, nella creatività e nella spiritualità del genere umano e forte il suo credo religioso. Il riscatto è, per lui, insito nella consapevolezza e nel desiderio di “legittima difesa” e dunque di libertà di scelta, libertà che ognuno dovrebbe perseguire da tutto quello che NE condiziona l’esistenza, siano essi le sue scelte, i regimi totalitari, il fanatismo religioso, la globalizzazione del mercato e della finanza, la dipendenza dalla tecnologia (per noi oggi anche dall’informatica). Libertà da ogni forma di sopraffazione per ritrovare fratellanza e rispetto, condivisione e senso di responsabilità, anche nei momenti gravi e tristi della paura e delle privazioni della guerra, come narra nel suo romanzo Giorni neri, commentato in questo catalogo da Cristina Acidini, ripubblicato da La Nave di Teseo con prefazione di Giordano Bruno Guerri. 
E così Catarsini non dipinge più la campagna perché l’urbanizzazione ha coperto i terreni, i cantieri sono disabitati, si intuisce il lavoro dell’uomo dai risultati. Predilige composizioni con fabbriche e biciclette isolate, marine e a volte scene di pescatori, come a ricordare i movimenti capaci, lenti e precisi, tramandati da generazioni, di chi opera a contatto con la natura.  Il lavoro è descritto però senza gli atteggiamenti che ritroviamo nelle opere ante Seconda guerra mondiale, è una sorta di “fermo immagine”, rimanda all’occupazione ma l’uomo si adopera con lentezza e poca convinzione, quasi con apatia.

Catarsini trova la sua consolazione nel tornare alla contemplazione dei suoi luoghi. Però non torna indietro nel tempo. Cerca sollievo come può, si rifugia nella sua arte consolatoria, in quello che ancora resta del bello nella natura, in uno sguardo, negli ambienti domestici, in una silhouette, nel paesaggio marino, nelle composizioni di forme, nell’arte, senza però contestualizzarli e i pochi soggetti, quando ci sono, sono inseriti in una realtà ambientale anch’essa sospesa nel tempo e nello spazio, come le sue macchine, come se il tempo e lo spazio fossero fermi in attesa di qualcosa. 
Marilena Pasquali commenta quel periodo: … Tutto convive nella pittura di Catarsini: le marine accanto alle macchine inutili, gli angoli di cortile e i nuclei di forme pulsanti, il suo microcosmo è unitario e pure disseminato in mille rivoli. Ciò che accomuna e rende individuale ogni sua espressione è la pittura scabra, acuta, fortemente compressa, il taglio della composizione costruita secondo regole di collaudata sapienza.
Per lungo tempo Catarsini ha sofferto perché si accorgeva che la sua “ultima creatura” non era compresa e non era apprezzata come invece le “vecchie” darsene, le marine, le campagne, i ritratti, le figure degli anni precedenti. Il tempo però era passato, il mondo era cambiato, lui stesso lo era. Forse le sue vecchie opere avevano nel pubblico un potere consolatorio? Non credo che l’abbia mai pensato, piuttosto era risentito perché non concepiva che si pretendesse che un artista dovesse per forza restare ancorato ad un cliché per lui ormai obsoleto. 
Molto si è scritto su questo periodo della produzione artistica di Catarsini e in modo differente. Finché è stato in vita, ha ben spiegato la poetica del suo Simbolismo meccanico e i critici lo hanno compreso e rispettato come, ne cito alcuni,  Franco Solmi nelle recensioni delle mostre degli anni’80, tra tutte l’antologica a palazzo Strozzi del 1981: (…) gli esitidi una perfino feroce simbiosi tra il mondo dell’uomo e quello della macchina  testimoniano della vocazione di Catarsini a non appagarsi di un atteggiamento meramente contemplativo, della sua continua ricerca di nodi d’inquietudine e, infine, di una matura consapevolezza che la partita è giocata, più che fra entità reali fra i simboli e i segni di cui si avvolge il linguaggio del far moderno (…) Le immagini di Catarsini restano a galleggiare come relitti di coscienze perdute  nel gran mare della storia presente.
Pier Carlo Santini scrive… un artista che attraverso la sperimentazione e la ricerca ha inteso scavare in se stesso, e interrogarsi, per essere sicuro di esprimersi con proprietà ed efficacia aderendo alle esigenze di tempo in tempo rinnovate ed attuali… E Franco Farina nella presentazione sul catalogo della mostra a Palazzo dei Diamanti di Ferrara nel 1982, interamente dedicata ad opere del Simbolismo meccanico scrive: Nel periodo che lo stesso Catarsini ha definito Simbolismo meccanico affronta la tematica del rapporto uomo macchina, ben conscio che la meccanizzazione, male necessario per riscattare l’uomo dal bisogno, modificherà il suo comportamento e quindi inciderà nel suo destino individuale e sociale.
Successivamente alla sua morte sono apparsi parallelismi e confronti con altri Artisti, periodi e correnti artistiche. Avendo vissuto con mio nonno proprio in quegli anni, avendolo visto dipingere e ascoltato, pur senza entrare nel merito della critica artistica che non mi compete, ritengo con questo scritto di fornire alcuni elementi necessari per valutare adeguatamente interrogativi, inquietudini e riflessioni che egli ha tradotto nelle opere del Simbolismo meccanico, a cominciare da quelle esposte in questa mostra e contenute nel presente catalogo. 
Per questo concludo, condividendola, con una frase di Vittorio Sgarbi…ciò che gli studiosi devono fare, rispettando fedelmente il senso più propriodel loro mestiere, è mettere al centro dei loro interessi l’oggetto Catarsini, nell’aspetto della sua produzione artistica come nell’evidenza dei documenti extra-artistici in grado di contribuire a meglio comprendere l’evoluzione della sua personalità nel succedersi del tempo. 
Ringrazio sentitamente il Presidente Giordano Bruno Guerri per l’ospitalità, il curatore Rodolfo Bona per l’accurata scelta e lo studio delle opere, Cristina Acidini, Elena Pontiggia e Sandro Gorra per i loro contributi su questo catalogo e tutti i membri e collaboratori della Fondazione Alfredo Catarsini 1899.
Ringrazio i collezionisti che hanno messo a disposizione opere significative per lo studio e una migliore comprensione del percorso artistico di Alfredo Catarsini nell’arte del Novecento.